Il certificato medico

Certificazione della verità o dell’interesse del malato?
Photo by Pixabay on Pexels.com

La vicenda

Un medico del Servizio Sanitario Nazionale è stato rinviato a giudizio per falso ideologico in atto pubblico perchè, in concorso con una paziente giudicata in sede separata, in un certificato ha attestato falsamente di averla visitata, riscontrandole una lombalgia con prescrizione di alcuni giorni di riposo. In realtà egli non aveva effettuato alcuna visita e il certificato era stato chiesto in una conversazione telefonica con l’interessata, che inoltre non era affetta da alcuna patologia.

Il sanitario è stato assolto nel processo di primo grado; per contro in appello è stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione e alla pena accessoria di interdizione dalla professione, sempre per il periodo di otto mesi, col beneficio della condizionale e la sospensione di entrambe le sanzioni.

Il medico ha fatto ricorso in Cassazione; la Corte Suprema, quinta sezione penale, con sentenza n. 6168/2013, depositata il 7/02/2013, ha confermato i precedenti gradi di giudizio, ritenendo acclarata la responsabilità del sanitario imputato.

La Corte di Cassazione ha infatti confermato la sussistenza della responsabilità dell’imputato accertata dai giudici di merito, in quanto dagli atti processuali risultava la confessione della paziente alla sua datrice di lavoro circa l’inesistenza della malattia attestata dal certificato e la mancata visita effettuata dal medico nella data attestata dal certificato ed anche in qualunque altra data.

La Corte di Cassazione ha inoltre messo in evidenza che le suddette risultanze sono state correttamente interpretate dai giudici di merito, vista l’evidente attendibilità della paziente che non aveva alcun interesse a fare dichiarazioni a danno del medico; il reato di falso ideologico in atto pubblico si era così pienamente configurato.

Che cosa è stato in sostanza contestato al medico?

Di avere dato atto di fatti non veri rilevanti nei rapporti giuridici, violando, in questo modo, il principio della tutela della pubblica fede nelle attestazioni rese dai pubblici ufficiali.

In conclusione la certificazione di uno stato di malattia può essere attestato soltanto dopo una visita medica che abbia permesso al sanitario di acquisire rilievi clinici direttamente  ovvero oggettivamente documentati.

Il caso sopra descritto permette alcune riflessioni sulla sempre più frequente richiesta di vere e proprie consultazioni, sollecitate, alcune volte quasi pretese, da parte di pazienti  che spesso vogliono essere rassicurati sul loro stato di (presunta) salute o malattia dai medici di riferimento. Sono evidenti le implicazioni medico-legali di tali richieste. Una formulazione diagnostica o una rassicurazione telefonica è sempre approssimativa, incompleta, spesso errata nella sostanza, sempre e comunque nella forma,  proprio per la mancata acquisizione di quegli elementi squisitamente clinici che possono essere raccolti solo ed esclusivamente nel corso di una visita. Una simile condotta è pericolosa per il paziente, poiché una rassicurazione superficiale può portare a fatali ritardi ma allo stesso tempo è dannosa per il medico in quanto lo espone alle più o meno motivate rivendicazioni del paziente.

Pubblicato da Paola Barbara Conti

https://penelopeinarchivio.wordpress.com/about/

2 pensieri riguardo “Il certificato medico

Lascia un commento

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora